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"La natura nell'uomo, l'uomo nella natura." (dr. M.C.)

mercoledì 18 maggio 2011

Articolo di Christian Boiron a difesa dell'omeopatia

L’European Journal of Internal Medicine ha pubblicato un articolo di Christian Boiron che risponde ad un precedente articolo pubblicato sulla stessa rivista a firma del Prof. Pandolfi  (2010, Homeopathy: Ex nihilo fit nihil; 21 : 147–148), nel quale  denigrava il metodo omeopatico come terapia e  il suo utilizzo da parte dei medici.
In questo articolo, Christian Boiron ripercorre le tappe fondamentali dello sviluppo dell’omeopatia e dell’azienda di famiglia, fondata  dal padre e dallo zio, Jean e Henri Boiron, laureati in scienze, nonché, medaglie d’oro e d’argento alla facoltà di farmacia di Nancy.
Christian Boiron, nel suo articolo, compie un viaggio  partendo da  Hahnemann, fondatore dell’omeopatia, evidenziando il valore altamente scientifico delle sue  intuizioni, ripercorrendo le analisi a partire da quella di Klenijnen et al. nel 1991 et le successive, trattate anche da Pandolfi nel suo articolo, rifiutando tutte le sue argomentazioni e ponendo invece l’accento sulla pubblicazione di Ludtke R. et Rutten pubblicata su Journal of Clinical Epidemiology (2008); smentisce, inoltre, in modo scientifico ed inconfutabile dal punto di vista metodologico, il celebre attacco del Lancet 2005 che proclamava la fine dell’omeopatia.
Christian Boiron conclude che l’ostinarsi a rifiutare e denigrare l’omeopatia (aggiungerei ciò che non si conosce!) è un atteggiamento  anti-scientifico inaccettabile. È giunto il  momento che il paziente sia considerato l’elemento centrale e che omeopatia e allopatia facciano fronte comune con l’unico obiettivo di essere al servizio del paziente offrendogli una medicina integrata e che possa risolvere la sua sofferenza.

E Voi cari lettori cosa ne pensate?

L'intero articolo è riportato qui di seguito


L’articolo di Pandolfi [1] denigra l’omeopatia e gli omeopati, generalizzando, in maniera eccesiva, i punti di vista di alcuni pazienti o medici che può aver sentito!
Questo atteggiamento mi sembra assai poco scientifico…
Personalmente, non mi ritrovo affatto nelle sue descrizioni.
Eppure, il mio è un punto di vista abbastanza privilegiato per testimoniare la realtà dell’omeopatia, poiché   sono   nato   63   anni   fa   in   una   famiglia   che   si   è dedicata a questa tematica.
Mio padre e mio zio, Jean e Henri Boiron, laureati in scienze, medaglie d’oro e d’argento della facoltà di farmacia di Nancy, hanno dedicato tutta la loro vita - fortunatamente lunga - a lavorare su tutti gli aspetti scientifici dell’omeopatia (farmacologia, biologia, fisico-chimica, clinica) insieme a ricercatori indipendenti, soprattutto in ambito universitario. Il risultato di questi sforzi è che negli ultimi 70 anni si sono moltiplicate le pubblicazioni scientifiche in tutto il mondo.
Io stesso ho creato due fondazioni scientifiche, una  negli Stati Uniti, la “Boiron Research Foundation” (1982), l’altra in Francia, la “Fondation française pour la Recherche en Homéopathie” (1985), nell’ambito
della “Fondation de France”.
Ho peraltro scritto un libro in cui respingo chiaramente qualsiasi atteggiamento settario, sia in omeopatia che
in allopatia. (“Il futuro dell'omeopatia” Edizione Tecniche Nuove 2004, “The future of homeopathy” Hatherleigh, in corso di stampa).
Ecco quindi alcune modifiche che desidero apportare alle affermazioni di Pandolfi.
Innanzitutto, l’omeopatia è parte integrante della scienza moderna, ed è frutto di alcuni dei primi studi di tossicologia e di farmacologia, avviati da Hahnemann, il suo fondatore.
Decise di sperimentare su se stesso e sui suoi amici la maggior parte dei  medicinali conosciuti all’epoca, dai sali di mercurio  o  di arsenico, dalla nux vomica alla corteccia di china.
Fu in occasione di questa sperimentazione sistematica e del tutto innovativa che scoprì la “similitudine” tra il potere tossico delle sostanze
medicinali e il loro potenziale terapeutico. Fece di questa osservazione ricorrente la base di una nuova tecnica di indagine farmacologica di cui gettò le basi nella sua opera pubblicata nel 1796: “Saggio su un nuovo principio per scoprire le virtù curative delle sostanze medicinali”. Basta leggere quest’opera per capire che Hahnemann non era un sognatore, ma un farmacologo rigoroso pronto a sperimentare su se stesso la maggior parte delle sostanze che si somministravano all’epoca ai malati…
Continuando ad approfondire in modo rigoroso e oggettivo la ricerca di questo nuovo metodo di screening, scoprì una nuova farmacologia, quella dell’infinitesimale. L’utilizzo di sostanze con proprietà tossiche simili ai sintomi del malato provoca, anche a basse dosi, un peggioramento farmacologico che preannuncia il miglioramento o la guarigione, ma può rivelarsi fastidioso. Hahnemann diluì allora sempre più le sostanze di base fino a raggiungere quello che noi chiamiamo oggi l’“infinitesimale” e che ha fatto Questa famosa dose infinitesimale non è quindi una teoria, ma il risultato di una serie di osservazioni e sperimentazioni.
Hahnemann per primo si rendeva conto dell’apparente incongruità della propria scoperta: nonostante Avogadro non avesse ancora scoperto il suo “numero magico”, Hahnemann sapeva che stava andando oltre il muro teorico delle molecole. 
In ogni caso, non sono i risultati clinici della medicina omeopatica a porre dei problemi, né i loro principi scientifici di base, bensì è la loro diluizione infinitesimale che pone una questione scientifica veramente difficile.
Ma non è sufficiente negare l'omeopatia per eliminare il problema che essa pone; come non basta provare l'efficacia clinica di questi medicinali per rimuovere l'ostacolo dell'infinitesimale, e neppure è sufficiente mostrare questa realtà infinitesimale sul piano della biologia o della fisica, come abbiamo già fatto a più riprese.
Sussiste sempre questo enorme interrogativo: com'è possibile che queste diluizioni producano una realtà fisica, biologica, farmacologica, clinica?
Per il momento, la scienza non ci dà nessuna risposta, ma solo qualche pista di riflessione. È una questione di tempo.
I progressi nella nostra comprensione dell'infinitamente piccolo, che sta aumentando ogni giorno e finalmente si spiaggerà sulla nostra costa omeopatica.
Per il momento, siamo costretti  a progredire nel campo della farmacologia, della clinica, della biologia e
dell'epidemiologia, in attesa di risposte da parte della fisica, della chimica e della matematica.
Nel suo articolo Pandolfi affronta anche la questione della meta-analisi delle sperimentazioni cliniche omeopatiche.
Non tutte queste sperimentazioni sono negative; anzi il contrario! 
I detrattori dell’omeopatia hanno voluto utilizzare il metodo della meta-analisi per dimostrare che l'omeopatia non era altro che un placebo. Invece questa meta-analisi ha unanimemente dimostrato il contrario. 
Quella di Kleijnen et al. [2]: “il livello delle prove degli studi clinici è positivo”; quella di Boissel et al. [3], nel 1996, in un rapporto alla Commissione Europea: “i pazienti curati con l'omeopatia hanno avuto maggiori effetti benefici di quelli che hanno assunto il placebo”; quella di Clausius et al. [4] nel 1997: “i risultati di questa meta-analisi sono incompatibili con l'ipotesi che gli effetti clinici dell'omeopatia siano esclusivamente dovuti a un effetto placebo”. 
Se si fosse trattato di un medicinale allopatico utilizzato con successo da quasi due secoli, tutte queste meta-analisi sarebbero state sufficienti a corroborarne l'uso e a fargli avere una medaglia. Per l'omeopatia, questi risultati non andavano bene, perché questa efficacia non era ammissibile da un punto di vista teorico. Bisognava dunque ricominciare da capo, facendo una nuova meta-analisi per provare almeno che l’omeopatia non era altro che un placebo. Ecco quindi quella di Boissel et al. [3]  pubblicata nel 2000. Purtroppo, anche questa meta-analisi diede un risultato positivo! “Ci sono prove che le cure omeopatiche
sono più efficaci del placebo”…
Posso immaginare l'irritazione di coloro la cui missione è quella di uccidere l'omeopatia e che, al contrario, vedono che i loro sforzi non fanno altro che rinforzarne la credibilità.
Ecco allora nel 2005 l’ennesimo impegno con la pubblicazione della pseudo meta-analisi di Shang et al. [5]. 
Homeopathy, a tremendous opportunity for medicine! 
Christian Boiron
President of Boiron Group scorrere così tanto inchiostro negli ultimi 200 anni!
Da un’attenta e approfondita lettura di questa metanalisi, tutti gli studi presi in esame erano randomizzati e controllati con placebo. Iniziando dai risultati, essi sono essenzialmente i seguenti:
• In entrambi i gruppi (pubblicazioni di omeopatia e di medicina convenzionale) la larga maggioranza degli
studi clinici ha riportato effetti positivi del medicinale rispetto al placebo.
• È stata effettuata un’analisi della qualità metodologica e quindi una graduatoria degli studi considerati, utilizzando come parametri qualitativi i metodi di randomizzazione usati, le procedure di mascheramento (dei medici, dei pazienti e dei valutatori del risultato) e il tipo di analisi dei dati. Solo 21 studi omeopatici (19%) e ancora meno, 9 (8%), studi di medicina convenzionale sono stati giudicati di alta qualità. Comunque, considerando l’insieme di tutti gli studi, le differenze di qualità tra omeopatia e medicina convenzionale non erano significative.
• In entrambi i gruppi, gli studi più piccoli e quelli di minore qualità riportavano effetti con maggiori benefici
rispetto agli studi di maggiore qualità. Selezionando tra gli studi di maggiore qualità quelli con il maggior numero di pazienti, l’odds ratio dell’omeopatia (8 studi) è risultato 0,88 (95% CI 0,65–1,19) mentre quello della medicina convenzionale (6 studi) è risultato 0,58 (0,39–0,85). Da questo gli autori hanno tratto l’indicazione che l’omeopatia non sia diversa dal placebo! Finalmente! 
Per loro sfortuna però il lavoro di Shang et al. è stato molto criticato per varie ragioni riassunte da Fisher et
al. [6] nel 2005, da Ludtke e Rutten. [7] nel 2008 e da Rutten e Stolper [8] nel 2008.
In realtà, i risultati dell’indagine sono sostanzialmente una conferma delle precedenti meta-analisi dei trials omeopatici, le quali avevano sempre evidenziato la prevalenza di effetti terapeutici positivi, ma l’operazione più discutibile degli autori svizzeri, sul piano dell’utilizzo dei dati raccolti, è stata quella di
estrarre, secondo un ulteriore criterio quantitativo (gli studi con maggior numero di casi tra quelli del gruppo di alta qualità) 8 (otto!) trials omeopatici e 6 (sei!) trials allopatici: confrontando esclusivamente questi pochissimi studi, gli autori sono giunti alla conclusione della inefficacia dell’omeopatia.
In altre parole, l’analisi dei risultati, escludendo 102 studi su 110, è fatta in modo da arrivare ad una interpretazione che suona come una conferma della convinzione di inefficacia già esplicitata all’inizio.
Ma, se avesse letto la meta-analisi di Ludtke e Rutten, si sarebbe accorto di una sorprendente osservazione:
i risultati negativi del lavoro di Shang sono influenzati da un singolo trial sulla prevenzione del dolore muscolare nei maratoneti.
Perché non farla finita con questa negazione antiscientifica ricorrente e vergognosa?
Tanto più che, con le sue centinaia di migliaia di morti all'anno (Starfield [9]) e con appena l'11% dei farmaci il cui effetto è chiaramente benefico, l’allopatia non ha certo di che dimostrarsi arrogante o sprezzante.
È ormai tempo che le due branche della terapia farmacologica, l'allopatia e l'omeopatia, concludano un'unione sacra al servizio del malato, per trovare finalmente le chiavi di volta per malattie come il cancro, l'AIDS, le cardiopatie, le allergie e le parassitosi.
L'omeopatia è pronta a servire la causa.
Christian Boiron

Riferimenti bibliografici:
[1] Pandolfi M., Homeopathy: Ex nihilo fit nihil, Eur J Intern
Med 2010; 21: 147–148.
[2] Klenijnen J., Knipschild P., Riet G., Clinical trials of
homeopathy. BMJ 1991; 302:316-323.
[3] Boissel J.P., Cucherat M., Gooch M., Haugh M.C.
Evidence of clinical efficacy oh homeopathy A metaanalysis of clinical trials. Eur J  Pharmacol 2000; 56:27-33.
[4] Clausius N., Eitel F., Hedges V.L., Jonas E.B., Linde K.,
Melchart D., Ramirez G., Are the clinical effects of
homoeopathy placebo effects ? A meta-analysis of
placebo-controlled trials.Lancet 1997; 350:834-843.
[5] Shang A, Huwiler-Müntener K, Nartey L, et al. Are the
clinical effects of homoeopathy placebo effects?
Comparative study of placebo-controlled trials of
homoeopathy and allopathy. Lancet 2005; 366: 726–32.
[6] Fisher P, Berman B, Davidson J, Reilly D, Thompson T.
Are the clinical effects of homoeopathy placebo effects?
Lancet 2005; 366:2082-3.
[7] Lüdtke R, Rutten AL. The conclusions on the
effectiveness of homeopathy  highly depend on the set of
analyzed trials. J Clin Epidemiol. 2008; 61:1197-1204. 
[8] Rutten AL, Stolper CF.  The 2005 meta-analysis of
homeopathy: the importance of post-publication data.
Homeopathy 2008; 97:169-177.
[9] Starfield B. Is US health really the best in the world?
JAMA 2000; 284; 483-485.

lunedì 2 maggio 2011

Le brassicacee: nuove conferme della loro validità

L'Arizona Cancer Center ha condotto uno studio sulla dieta di donne con tumore al seno trattate con Tamoxifene (farmaco appartenente alla famiglia dei modulotarori selettivi del recettore degli estrogeni), che si sono nutrite con dosi abbondanti di crucifere.
I risultati osservati sono di una minore recidiva rispetto a coloro che non hanno seguito una dieta ricca di cavolfiori, broccoli, cavoli ricci e cavolini di Bruxelles.
I risultati ottenuti dai ricercatori sono stati giudicati così positivi che il National Institutes of Health ha deciso di finanziare con 3,2 milioni di dollari uno studio di cinque anni.

Un'altra ricerca è stata pubblicata sulla rivista Clinical Cancer Research e riguarda l'efficacia del sulforafano, derivato dalla glucorafanina attraverso l'azione della saliva. La glucorafanina è un elemento contenuto in abbondanza nei broccoli e nei germogli degli stessi.
Come agente chemiopreventivo, il sulforafano possiede molti vantaggi come, ad esempio, l'elevata biodisponibilità e la bassa tossicità; esso viene rapidamente assorbito dal piccolo intestino e viene distribuito in tutto l'organismo umano.
I ricercatori hanno scoperto che il sulforafano (1-5 mmol/L) diminuiva la popolazione di cellule aldeide deidrogenasi-positivo dal 65% all'80% in cellule umane di cancro al seno ed ha ridotto le dimensioni e il numero di mammosfere primarie tra le 8 e le 125 volte e tra il 45% e il 75% rispettivamente.

(Tratto integralmente dalla news letter F.P. del 2 maggio 2011)